Simone De Beauvoir e la soggettivazione dell’Altra

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Sono donna e devo giustificarlo.
Come guadagnare uno spazio in cui esprimersi e realizzarsi, in un mondo che non permette alcuna formula di inserimento della donna nel circuito sociale, plasmato e controllato dagli uomini, e la relega a semplice oggetto privo di qualunque facoltà?

Come combattere questa condizione imposta, come ribellarsi?

In una società che ancora non ammette una soggettivazione indipendente dal genere, rendersi soggetti richiede l’azione: il sé diviene frutto di una produzione. Questa dimensione pratica, anticipata dal filosofo francese Michel Foucault, passa attraverso un paradossale punto ossia quello di oggettivare il soggetto stesso, rendendolo cosa, nominandolo, determinandolo e qualificandolo.

Perché vi sia soggetto è necessario porsi in relazione con gli altri, inscriversi in categorie più o meno fisse che ci rendono “oggetto di sapere altrui” Partendo innanzitutto dalla rottura dei rapporti di dipendenza uomo-donna e dallo storico discredito attribuito al genere femminile. Decostruendo, ove possibile, gli stereotipi ed evidenziando le falle di una convinzione aprioristica e priva di sostegno morale o scientifico del sistema patriarcale, la soggettivazione delle donne deve essere intesa come costruzione della propria identità e posizionamento all’interno di un sistema societario di relazioni e gerarchie da ridefinire interamente.

Ritratto Simone De Beauvoir
Photo by Thierry Ehrmann

Nel suo saggio “Il secondo sesso”, l’autrice Simone De Beauvoir parte dalla critica alla subalternità della donna all’uomo, sostenuta da figure e ruoli attribuiti che non hanno mai permesso al presunto sesso debole di costituirsi come Altra – e non Altro – dell’uomo: “è la femminilità ad essere in pericolo” – scrive la filosofa francese, a causa di una società che porta avanti l’appannaggio di un legame di dipendenza che priva le donne di una propria possibilità di soggettivazione.

La necessità stessa di affermarsi in quanto soggetto è il primo punto su cui indugiare: per definirsi, la donna ha bisogno di dichiarare sé e la sua femminilità; è a partire dall’uomo che ella può distinguersi ed identificarsi, tant’è che il bisogno di specificare il sesso non appartiene alle modalità con cui l’uomo si soggettiva.

Tutto ciò che è alterità deve definirsi a partire dalla relazione che instaura con il “soggetto assoluto” o “di partenza”, ovvero l’uomo.
La dualità sessuale, accettabile come dato di natura, diventa in questo senso una mancata reciprocità e un sopravvento dell’Uno che annulla la coscienza dell’Altro; visione hegeliana di un soggetto essenziale in opposizione ad un Altro inessenziale, una dialettica servo-padrone applicata alla divisione biologica, quella tra sessi, che non prevede gerarchie.
La disparità che ne deriva ha invaso ogni campo della vita, dai diritti all’economia, ai ruoli sociali, al lavoro: le donne hanno spesso accettato forme di protezione che ripetevano lo schema maschile e lo accrescevano, asservendosi non solo all’altro sesso ma anche alla specie, come nel caso della procreazione, che diventa da un lato il punto di contatto con l’universo maschile, il quale necessita tale rapporto; dall’altro un freno alla piena liberazione e affermazione di sé.

Simone de Beauvoir vede la strada per la liberazione della donna dalla sua schiavitù in una via materiale di inserimento nel processo produttivo; utilizza il marxismo per spiegare come i meccanismi del mondo del lavoro abbiano bisogno della partecipazione femminile: l’uguaglianza nella differenza, conquistata dalle operaie con l’avvento della tecnologia, non è affatto un punto di arrivo ma, anzi, un circolo vizioso che porta i dominatori a riaffermarsi come tali, ripetendo ancora oggi il pregiudizio.
La parità non deve diventare una conformazione alla rete di rapporti che l’uomo attentamente tesse e progetta affinché si possano mantenere sostanzialmente intatti gli equilibri; la differenza deve pur perpetrarsi, realizzarsi nell’uguaglianza, essere elemento di rivoluzione, caratterizzando l’Altra di una specificità che le permette di uscire dallo status di subalterna e porsi in rottura, come soggetto creativo.

Per soggettivarsi, la donna non deve ambire ai valori maschili, specchietto per le allodole alla sua libertà, ma imparare a contrapporvi valori propri di quel “regno femminile” che l’uomo ha voluto intrappolare nel suo creato, isolare e ghettizzare, ma che preme come un gas in una scatola e non assume la sua forma, non modifica la propria sostanza: è pronto ad uscire e librarsi nell’aria.